Ringrazio Marco Barelli per avermi dato, con un suo breve commento, lo spunto iniziale per questo post.
La sussidiarietà orizzontale, questa vexata quaestio. Perché com’è vero che la sussidiarietà è prevista dalla Costituzione ex art 118 della stessa, è altrettanto vero che sul tema della stessa declinata in senso orizzontale (articolo 118, comma 4) vi sono infatti diverse applicazioni.
Ci sono infatti due concezioni di sussidiarietà: una che mira a mettere in secondo piano il ruolo dello stato (vedi Libro Bianco di Sacconi) a favore dell’intervento privato ed un’altra che, pur valorizzando le risorse private, vuole che lo stato stesso assuma e mantenga il ruolo forte di garante garantendo quindi qualità accettabili e massima nonché diffusa copertura dei servizi alla popolazione.
La prima, cioè la sussidiarietà orizzontale conduce, invece e diversamente dalla sussidiarietà verticale, alla liberalizzazione delle attività private, al ritiro dello Stato dall’economia, alle privatizzazioni ed alla deregolamentazione amministrativa lasciando l’esercizio delle funzioni oggetto di sussidiarietà completamente nelle mani dei privati.
Rendiamoci conto anche del fatto che un conto è mettere in atto prospettive di collaborazione, di coordinamento e di rete nella proposta di servizi, un altro è un semplice e modesto ripiego della pratica amministrativa cioè, ad esempio, la banale esternalizzazione senza controllo dei servizi (come dire: ce ne laviamo le mani).
Un Far West del genere si potrebbe evitare includendo un contesto del genere in una piramide di competenze che vada quindi a creare un’unica catena che parte dall’individuo e giunge fino allo Stato.
Si tratta quindi di ottiche anche culturali completamente diverse motivo per il quale il Libro Bianco edizione 2009 di Sacconi, caro Marco, è logicamente diverso dalla legge 328/2000 anche per l’impianto culturale.
Sacconi infatti parla ed introduce un nuovo modello di welfare che in cui le politiche sociali non solo non si coordinano tra tutti i settori (Lavoro, Salute e Previdenza ed Assistenza vengono infatti scorporati e trattati a compartimenti stagni) ma pure s’intrecciano con le altre nuove politiche e dinamiche attive proprie del mercato del lavoro.
Non si tratta però di un vero e proprio riordino di prestazioni magari corredato da un corrispondente impianto tecnico; no, nel Libro Bianco di Sacconi infatti è presente in via assolutamente prevalente la visione del “futuro” ed il quadro dei valori in base ai quali le stesse politiche sociali e non devono essere riorganizzate. In questo contesto alle varie comunità intermedie (famiglia, associazionismo ecc: in due parole il così detto terzo settore) viene affidato il compito di promuovere e garantire l’azione sociale mettendo in pratica e gestendo direttamente un sistema di tutele privato destinato ad espandersi sempre di più ovviamente “a scapito” del parallelo settore pubblico andando quindi a differenziarsi ed in ultimo a scontrarsi con l’esigenza di uniformità delle relative politiche pubbliche.
Nello stesso Libro Bianco infatti non ci si esprime più nei termini della direzione di integrazione giusta tra pubblico e privato, bensì si parla del sistema sanitario privato come “pilastro”, riducendo al tempo stesso quello pubblico che va ad assumere un ruolo ovviamente residuale e marginale rispetto al primo cioè al sistema sanitario privato di cui sopra.
Ora, di questo passo e senza troppo clamore, è evidente che l’attuale governo di cui Sacconi è, si presume non a sua insaputa poiché ha contribuito a definirne le politiche che tutt’ora sostiene, ministro, mira a privatizzare il welfare (e dunque, ad esempio, anche la sanità e l’assistenza sociale) sganciandolo dal controllo primario e dai bilanci dello Stato. Senza contare il fatto che l’assenza del coordinamento induce al facile rischio di doppioni nelle offerte dei servizi. Un fattore che la presenza di una regia forte dello stato può facilmente evitare.
Ricordo che, in proposito, la Costituzione all’articolo 32 così recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Questo governo, grazie anche all’ormai famoso Libro Bianco di Sacconi, si avvia quindi a mettere quasi interamente un “fondamentale diritto individuo e interesse della collettività”, cioè la sanità e l’assistenza sociale “nelle mani” del così detto terzo settore cioè nelle mani dei privati. Si va quindi a creare livelli d’intervento di serie A e di serie B. Come dire, si salvi chi può (pagare). Il che va nella direzione esattamente opposta a quell’interesse generale richiamato negli articoli 2 e 3 della Costituzione e che tirando le somme s’identifica con il pieno sviluppo delle capacità di ogni persona e con la tutela della sua dignità e dei suoi diritti.
Peraltro il ministro Sacconi ha all’epoca definito il Libro Bianco come “il libro bianco della felicità”, un’opera che “si limita intenzionalmente alla declinazione dei valori e della visione del nuovo modello sociale” lasciando poi ad interventi successivi cioè alla maggioranza ed al governo il compito di definirne i contenuti gestendo la transizione dal modello di welfare attuale (quello di cui la legge 328/2000 è un esempio) ad un modello completamente nuovo e rivisto. Il tutto però senza dire come né quando. Una scatola vuota quindi. Un modello nel suo complesso sconcertante.
Però…sì, c’è un però.
Il Libro Bianco dovrebbe essere un libro dei sogni che però ad un certo punto oltre ad essere bianco di nome lo è pure di fatto. Si vede la mancanza di un quadro degli interventi, mancano impegni programmatici dotati di un minimo di credibilità, sono quasi completamente assenti i riferimenti al contesto istituzionale. Alcuni esempi: il documento di Sacconi è basato in primis sul principio dell’universalismo selettivo (nulla di nuovo, peraltro) però tralascia ogni riferimento o citazione all’esistenza del primo strumento con cui è stato realizzato quel principio, cioè l’Isee, indicatore che semplicemente scompare. Per non parlare della pochezza dei riferimenti alle politiche attualmente in vigore e dalle quali bisogna partire per rendere il nuovo modello compatibile e funzionante rispetto alla situazione di partenza. Invece niente. Un silenzio assordante. Il ministro Sacconi fa anche cenno allo strumento portante “della cultura della carità e del dono grazie al quale la persona,si libera dal bisogno, dalla povertà, soprattutto grazie ad una prossimità relazionale”. E lo Stato se ne lava nuovamente le mani scaricando quindi le esigenze del cittadino su chi gli sta intorno (singolo privato ad esempio famiglia) oppure associazione che sia.
A proposito a quest’ultimo aspetto, il ministro Sacconi insiste nel dire che secondo il suo modello gli interventi di welfare verranno garantiti sempre più dal terzo settore: non si sa come, visto che, oltre a non godere di ulteriori trasferimenti dallo Stato, l’attuale manovra taglia anche i benefici fiscali di cui, per ora, godono le realtà più importanti del terzo settore cioè le cooperative, molte delle quali dovrebbero attuare il modello di welfare proposto dal ministro Sacconi.
Sì, avete capito bene: il governo assegna servizi e funzioni da svolgere alle cooperative ma invece che riconoscere almeno una piccola parte di finanziamenti per i servizi di assistenza sociale, toglie addirittura soldi a queste ultime riducendo i benefici fiscali di cui esse godono.
Ovviamente quei servizi non potranno essere offerti in perdita ed allora chi sarà a pagare? Ancora una volta, molto probabilmente, il cittadino. Tanto per non cambiare. E torniamo al discorso del si salvi chi può (pagare).
“Meno Stato, più società” disse Sacconi ad un convegno nel non lontano 2010. Aggiunse anche che “Meno Stato” significa sicuramente “meno regole”: quindi, in sostanza, gli italiani devono arrangiarsi. Ma, ovviamente, devono continuare a pagare le tasse. Una volta arrangiarsi era un’arte; oggi sta diventando un obbligo (che in questo caso si paga e pure a caro prezzo).
Ora, potrei continuare introducendo ed affrontando concetti come la povertà tra i minori, la povertà assoluta e relativa e la conseguente diseguaglianza associata a questi concetti. Tuttavia, per non annoiare ulteriormente il lettore allungando ulteriormente un testo già molto denso, passo alla chiusura con un giudizio complessivo sul Libro Bianco e quindi sulle politiche del governo nel settore in questione, cioè il welfare.
Ritirata dello Stato e Libro dei sogni e senza sogni.
Leggendo questo documento, nonostante i continui richiami ad una realtà di futura (…) definizione, si capisce come in fin dei conti ci troviamo in presenza di un imbarazzante vuoto pneumatico in cui le dichiarazioni di principio, ad esempio felicità ed allargamento delle tutele, fanno a pugni con una realtà concreta di tagli alle risorse e di assenza di riforme.
Come Icaro, infatti, si vola alto, troppo alto, con tante ipotesi e poca sicurezza (sociale) passando da un’ideologia dello stato minimo e minimalista, che con una mano dà le chiavi delle politiche sociali in mano al privato sociale (vostro nonno o genitore hanno bisogno di assistenza? Pagategli un’infermiera o mandatelo in clinica. Tutto privato, s’intende) ed anche la tutela della salute alla sanità privata.
Con l’altra mano, allo stesso momento, il governo di fatto rinuncia alla sanità pubblica venendo meno agli impegni presi con le regioni e dando, grazie all’attribuzione di risorse largamente insufficienti, una mazzata al Sistema Sanitario Nazionale, sottolineando l’importanza del sistema pensionistico individuale (la pensione privata mentre per i dipendenti continua il prelievo per quella pubblica) e rimarcando il modello delle relazionali industriali e sindacali decentrate (addio articolo 18).
Una serie di conquiste sociali straordinarie, non c’è che dire.
Un documento che comunque manca di concretezza e, volendo, anche di coraggio. Il Libro Bianco di Sacconi, infatti, parte da presupposti che sono tutto fuorché moderni: il concetto di universalismo selettivo, ad esempio, ha circa 15-20 anni e muove i suoi primi passi dalla conclusione dei lavori della così detta “Commissione Onofri” (1996).
La visione che ci propongono il ministro Sacconi ed il governo di centrodestra è quindi tutto fuorché nuova ed innovativa; è al massimo, fintamente moderna in quanto scarica tutta la responsabilità del welfare sull’intervento del privato spostando quindi semplicemente i problemi nel rapporto (anche finanziario cioè “chi paga?”) tra quest’ultimo ed il singolo cittadino. Il risultato è semplicemente quello di ridurre lo stato sociale, mascherando il tutto con un capolavoro d’immagine e di estetica.
Tagliare la spesa riducendo i servizi non è certo un gran merito. Lo sa fare chiunque.
Chiariamo, possono anche andar bene- in questo caso sono d’accordo con Sacconi- i modelli che, con lo Stato che, come spiegato all’inizio, fa da garante, prevedono una sana competizione condita da regola precise tra offerta pubblica e privata dei servizi.
Un’altra cosa è invece giustificare la fuga dello Stato dal welfare adducendo la scarsità di risorse (che, a quanto pare non ci sono per nulla: forse non si vogliono trovare?)
Lo si dica, chiaramente quindi che il ministro Sacconi ed il governo Berlusconi, aprendo la via alla ritirata dello Stato, vogliono fare le nozze con i fichi secchi. Di questo passo, ormai, l’avranno capito anche i sassi. Purtroppo, “Sacconi non è un sasso” (cit. Lorenzo Sirocco).
Posto che nel documento del Ministro del Lavoro non c’è un dato che sia uno, cos’è allora quel testo? Uno scritto senza contenuti, direi. A proposito di dati: non mi si venga a dire che la spesa per il welfare in Italia è più alta della media europea): vedi a pagina 14.
No, è un Libro dei sogni in cui però manca solo una cosa: i sogni. A questo punto, non sarà forse un libro degli incubi?
P.S. A proposito di “miglior ministro” (cit. Marco Barelli), Sacconi è lo stesso che aveva calcolato gli italiani colpiti dalla norma antiriscatto di laurea o militare erano sì e no 3-4 mila, poi però ieri qualcuno ha fatto meglio i conti e ha scoperto che invece erano più di cento volte tanto: circa 600 mila.
Complimenti.
Renato Carlantoni
31 Marzo 2015 at 02:06Coinvolgere il terzo settore potrebbe essere interessante ed essere una soluzione anche perché la legge del 1991 inizia, ormai, a mostrare le sue crepe. Certo è che sarebbe importante che i vari attori venissero coinvolti in questo processo anche a proposito di una pianificazione a livello territoriale. In questo caso la proposta di Sacconi potrà dirsi positiva e ben riuscita.