Dal Decreto Competitività a Hera, dalla legge alle novità tra i soci, il passo è breve.
In ogni caso, tra le varie discussioni all’interno e non solo dei consigli comunali dei comuni soci della multiutility Hera a proposito delle modifiche al Patto di sindacato e di blocco nonché allo Statuto della società, molto rumore è per nulla.
Proprio perché, ad esempio, Hera resta pubblica: vediamo perché.
Infatti al di là dell’eventuale alienazione o vendita di azioni che potrebbe portare il capitale pubblico ad avere, in termini di numero di azioni, la maggioranza relativa (ad esempio il 30 o 35%) invece che assoluta (51%) – cosa non rara nelle società per azioni private e comunque, di norma, sufficiente a garantire il controllo della società -, le novità previste per legge, le quali riguardando principalmente il superamento del classico principio “una testa, un voto” (nello specifico, one share cioè un’azione, one vote) in favore di quello del voto maggiorato consentendo ai soci che detenessero delle azioni per o da almeno 2 anni di avere diritto a massimo due voti per ciascuna azione. Soci pubblici che, tra l’altro, secondo l’ipotesi del nuovo patto di sindacato, avrebbero un numero di azioni pari al 38,5%. Situazione che appunto consente un controllo più che sicuro ai comuni direttamente o indirettamente soci del patto di Hera.
Cosa che peraltro mette in una condizione favorevole i soci “storici” cioè istituzionali (Comuni e altri enti pubblici) di Hera in quanto pone il termine minimo di durata di possesso di un’azione (cioè 24 mesi) tra i criteri per esercitare il voto maggiorato garantendo al tempo stesso il massimo di voti possibili all’azione in questione cioè 2. Per legge i mesi potrebbero anche essere di più e i voti anche meno di due cioè, ad esempio, uno e mezzo, cosa che, su un capitale sociale totale pari a poco meno di 1 miliardo e 400 mila azioni, porta anche mezzo punto in più o in meno per singola azione a fare la differenza. Per fare un paragone, i Comuni di Trieste e Padova possiedono poco meno di 72 milioni di azioni mentre il Comune di Udine ne ha 44 milioni. Questo significa che i Comuni di Trieste e Padova possiedono circa il 5% a testa del capitale azionario.
Si potrebbero dire tante, tantissime cose su questo tema, però, per ragioni di sintesi, resto su una che, peraltro, è una delle più significative. La modifica legislativa del sistema di voto in favore del sistema di voto maggiorato appena enunciata, porta a limitare la contendibilità del controllo della società ovvero a rendere più difficile che sia possibile acquisirne il controllo cosa che, invece, con il precedente sistema di “voto proporzionale” era possibile acquisendo rilevanti partecipazioni societarie.
Quindi, con un semplice calcolo matematico, se uno o più soggetti uniti da un patto di sindacato, come nel caso di Hera, o meno, possedessero una quantità di azioni pari al 25,5-26% del capitale potrebbero, grazie al voto maggioritario che raddoppierebbe il valore dei loro voti, raggiungere il 51-52% dei voti mantenendo quindi il controllo della società.
Certo questo sistema portà con sé altre implicazioni, pregi e difetti come, ad esempio, il fatto che, essendo più difficile acquisire il controllo della società, eventuali terzi investitori diversi da quelli di lungo corso ovvero istituzionali siano meno interessati a diventarne soci. Dopodiché questo dipende anche da come viene modulato cioè a quali materie si applica il voto maggiorato. Nel caso di Hera si tratta di nomina e revoca dei CdA e dei membri del collegio sindacale, la modifica delle modalità del voto maggiorato stesso (ad esempio 1 azione 2 voti) interno a Hera e dei criteri d’individuazione delle azioni cioè, in sostanza, dei soggetti a cui viene attribuito il voto maggiorato.
Comunque, data la presenza, in Hera, di una situazione molto simile a quella dell’azionariato diffuso pare difficile vedervi un rischio d’immobilismo a livello d’investimento, sempre considerando che operazioni come questa hanno lo scopo di fidelizzare gli investitori riducendo la voglia di operazioni puramente speculative et similia.
L’effetto che, in questo caso, credo sia uno degli obiettivi, è anche quello di rafforzare l’azionariato pur in presenza di un minor capitale sociale nelle mani dei soci pubblici.Non a caso, infatti, l’articolo 7 dello Statuto di Hera recita che il controllo della stessa resta pubblico. Controllo che, appunto, non è assolutamente in discussione non fosse altro che per il fatto che viene anche escluso, da parte di qualsiasi soggetto non pubblico, il possesso di quote azionarie superiori al 5%. Tra l’altro, svincolare quote Hera dal patto di sindacato e di blocco non significa per forza vendere o far venir meno il controllo pubblico. Anche perchè, peraltro, è sì possibile vendere quote di Hera, ma, un conto è farlo ad altri soggetti pubblici facenti parti del patto stesso, un altro mettere le quote Hera sul mercato a disposizione, ad esempio, dei privati. Operazione, quest’ultima, che, tra un controllo di tipo tecnico e un altro di natura politica, sarà decisamente più difficile.
Come ben si vede, quindi, le mosse a tutela della proprietà pubblica sono evidenti. Cosa che, peraltro, non è frutto di speculazioni politiche ma è scritta nero su bianco, assieme ad altre garanzie, nelle modifiche allo statuto della multiutility attualmente in fase di approvazione. Risulta quindi chiaro che Hera è un’azienda a guida pubblica che, grazie al nuovo patto di sindacato, resterà tale anche dopo l’assemblea dei soci del prossimo 28 aprile.
Per capire, poi, che la tanto sbandierata privatizzazione della società non esiste, basterebbe leggere lo Statuto o una delibera dei consigli comunali dei Comuni soci di Hera. Si potrebbe facilmente scoprire, al di là di tante parole, che sono proprio i fatti a blindare la natura pubblica della stessa Hera.
Il tutto anche in coerenza con le posizioni assunte in occasione dei referendum abrogativi a favore della gestione dell’acqua che, comunque, è bene sempre pubblico dato in concessione per un periodo temporaneo.
Questo peraltro non significa che le azioni “libere” dal patto di sindacato – e dunque nella totale disponibilità dei comuni – verranno messe sul mercato o vendute completamente per liberare spazi finanziari dal Patto di stabilità utili a realizzare importanti opere pubbliche. Ad esempio, per quel che riguarda il Comune di Trieste, nel 2014, nonostante la possibilità di alienare 13 milioni di azioni di Hera, non ne ha venduta nemmeno una realizzando al tempo stesso i lavori pubblici previsti dal proprio Piano delle opere. Ciò anche grazie ad altri spazi finanziari previsti nel Patto di Stabilità da parte di Stato e Regione, per cui, in mancanza di questa o altre opportunità come la vendita d’immobili o di azioni di società partecipate – come, ad esempio, Hera – non mantenere o prevedere la possibilità di alienarle significa potersi trovare nella condizione di non pagare e quindi non appaltare opere pubbliche nel 2015 ed eventualmente negli anni successivi dando tra l’altro ossigeno a un importante comparto in sofferenza come quello dell’edilizia.
Sempre, ovviamente, nel caso in cui, anche quest’anno, non si aprano ulteriori spazi finanziari come già successo nel 2014, cosa che permetterebbe di realizzare opere pubbliche importanti e attrattive per la città e per lo sviluppo economico, senza peraltro rinunciare al valore del patrimonio comunale e senza per forza dover vendere quote azionarie di società partecipate ma solo mantenendo una finestra aperta su una possibilità.
Tanti pro, sulla carta e non, senza per forza di cose. Un ottimo risultato, anche amministrativo, in ogni caso.
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